E’ venuto a mancare il giorno 6 Agosto 2022 il Prof. Italo Barrai, Socio Fondatore dell’AGI e Presidente dell’AGI.
Il funerale si terrà a Ferrara venerdì 12 in San Cristoforo in Certosa alle 15.45.


Italo Barrai, presidente dell’AGI dal 1995 al 1997 e professore emerito di Genetica, ci ha lasciati la mattina del 6 agosto. Era nato a Sarzana il 13 maggio 1931. Nella zona al confine fra Liguria e Toscana si parla un italiano dei più belli, ed era bello ascoltare la voce di Barrai, il suo tono profondo e la sua pronuncia elegante, senza accenti.

Suo padre era ferroviere, e Italo ha trascorso l’infanzia fra Sarzana e Manarola, prima di trasferirsi a Genova, dove ha fatto tutte le scuole. Abitavano nelle case dei ferrovieri. A undici anni ha raccolto un oggetto nel cortile; era un frammento di bomba; gli amici gli hanno detto di lasciarlo stare. Lui invece l’ha portato a casa e, dio sa perché, messo in forno, dove è esploso. Italo è stato a lungo in ospedale. Aveva riportato danni a un occhio, danni seri che si sono aggravati con il tempo. Nel 1977 Antonio Rossi, oculista e rettore dell’Università di Ferrara, gli ha messo la protesi. Barrai ci scherzava su. Anni dopo, caldeggiando la conferma di Rossi a rettore, ci ha detto: “Non ho motivi particolari di amicizia per lui; anzi, mi ha cavato un occhio; ma è meglio degli altri”.

Si è iscritto al Liceo scientifico e poi a Scienze Naturali. Per qualche tempo ha insegnato nelle scuole, un lavoro che avrebbe potuto proseguire anche se avesse perso la vista, ma sua figlia Anna dice che avere un solo occhio non lo ha limitato in niente: ha attraversato il Sahara, ha lavorato e viaggiato in mezzo mondo, senza preoccuparsene. Si dava sempre da fare. In quegli anni si pubblicava a Genova il quotidiano Il lavoro, organo della Federazione Socialista Ligure, diretto da Sandro Pertini. Italo Barrai ci ha raccontato di aver spedito alcuni articoli (su cosa, non sappiamo; e l’edizione storica on line del Lavoro non ha un indice degli autori). Fatto sta che la prima accoglienza non deve essere stata delle migliori, se alla fine ha deciso di andare di persona in redazione: portava un articolo “da parte del professor Barrai”. E si vede che i titoli accademici all’epoca avevano un loro potere, perché così è cominciata la sua collaborazione al giornale. Ogni volta che si presentava, i redattori si raccomandavano di salutare il professor Barrai e dicevano che non vedevano l’ora di incontrarlo, finalmente; Italo rispondeva “Riferirò”.

Erano anni in cui tante cose si facevano per posta. Italo Barrai si appassiona di genetica; deriva l’equazione di equilibrio delle frequenze alleliche quando c’è selezione contro il recessivo, e la manda al genetista più importante d’Italia, Luca Cavalli-Sforza. (Anni dopo, uno di noi deriverà la stessa equazione e la farà vedere a lui, aprendosi così la strada per l’internato di laurea). Quell’equazione, in realtà, se l’era già derivata qualcuno negli anni trenta, ma Cavalli-Sforza, ben impressionato, convoca Barrai per un colloquio, e nel 1959 gli offre una borsa all’Università di Pavia. Ci resterà due anni, prima di partire per il Wisconsin: un posto che non sembrerebbe avere titoli per essere il centro di niente, se non forse degli Stati Uniti d’America, ma in quegli anni Madison è davvero il centro della ricerca genetica sull’uomo, diretta da un altro grande, Newton Morton. Con lui, Italo Barrai trascorrerà due anni di fondamentale importanza, prima di tornare a Pavia, stavolta con una posizione permanente all’Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica, l’IIGB. Sono anni intensi e ricchi di successi; il gruppo comprende, oltre a Cavalli-Sforza, Laura Zonta, Gianna Zei, Silvana Santachiara; e Maria Beretta, con cui si sposerà. Maria e Italo hanno trascorso tutta la vita insieme, nel vero senso più pieno; sono venuti a mancare a distanza di pochi giorni uno dall’altro e anche a Maria va il nostro pensiero e affetto.

La reputazione di Italo Barrai si espande: nel 1967 gli viene offerta la posizione di responsabile dell’Unità di Genetica Umana all’Organizzazione mondiale della Sanità, a Ginevra. Non sappiamo molto degli anni di Ginevra, se non che il lavoro in un’organizzazione internazionale lo ha sottoposto a uno stress severo. Nel frattempo erano nati i due figli, Mario e Anna, e per una persona come Italo Barrai non trascorrere abbastanza tempo con i figli doveva essere pesante. Sappiamo però che a Ginevra cominciano i primi problemi cardiocircolatori: problemi seri. Italo Barrai capisce che mantenere quei ritmi di lavoro potrebbe costargli la vita.

Bepi Colombo, fondatore e direttore in quegli anni dell’Istituto di Zoologia di Ferrara, la sapeva lunga, e chi lo prendeva sottogamba per la sua abitudine di esprimersi prevalentemente in dialetto padovano doveva poi cambiare idea. Colombo viene a sapere delle difficoltà di Barrai, e capisce che c’è la possibilità di portare a Ferrara, dove non c’è, una disciplina in grande crescita, la Genetica, attraverso una figura di primo piano. Nel 1974 gli offre una posizione docente, che nel 1975 diventerà di professore ordinario. Italo Barrai la manterrà fino al 2001, alla pensione, avendo sempre a fianco Maria Beretta.

Nella Ferrara provinciale degli anni settanta, un ricercatore di rinomanza internazionale, uno dei massimi esperti di metodi biostatistici, e una persona del rigore intellettuale di Italo Barrai, non poteva che portare una boccata di aria fresca. Per chi scrive, arrivati al corso di Genetica del secondo anno, non c’è stato più dubbio su dove dirigersi, ma non solo. Il suo laboratorio è diventato uno dei principali riferimenti per chiunque, in Italia e anche fuori, volesse fare una seria analisi quantitativa di dati biologici; e molti ne hanno tratto beneficio. Delle sue lezioni ricordiamo il rigore: quello stesso rigore che a volte lo limitava all’interno di schemi forse troppo rigidi: sia nell’attività professionale, sia nei rapporti personali. Ma di questo torneremo a parlare. La sua era la didattica di un fuoriclasse: una successione impeccabile di passaggi che portava alla conclusione più logica, con la precisione di un numero da circo di alta scuola. Infatti una di noi, spesso e volentieri, si accorgeva alla fine delle lezioni del Prof. Barrai (allora era “solo” il docente di Genetica) che aveva smesso di prendere appunti perché era assorta ad ascoltare la sua voce che “raccontava” la genetica.

Non era una personalità facile, Italo Barrai, così come non lo siamo certo noi che lo ricordiamo. Specie per uno di noi, i conflitti con lui sono stati aspri e tutt’altro che rari. Forse la lunga attesa prima di ottenere i riconoscimenti accademici che sapeva di meritare l’avevano inasprito. Forse è inevitabile che ci siano divergenze quando in uno stesso gruppo convivono persone dal carattere forte e con una precisa agenda scientifica in testa. Anche per l’altra non è stato facile guadagnarsi il suo rispetto: scalfire il suo maschilismo e le asperità di carattere ha richiesto tenacia; ma alla fine ottenere la stima scientifica e personale di una figura di così alto spessore è stata un’esperienza che rende orgogliosi.

Le due figure che più l’hanno influenzato sono state, senza dubbio, Luca Cavalli-Sforza e Newton Morton. Sempre di genetica di popolazioni, e sempre di analisi di dati si trattava (“Bisogna – fare – i sperimenti! No sta roba qua col calcolatore!” si lamentava Bepi Colombo con uno di noi, forse non osando farlo con lui). Da un lato c’era l’evoluzione umana, la struttura delle popolazioni, i primi studi sull’uso dei codoni nel genoma; dall’altro l’analisi della segregazione e le applicazioni biomediche. Fantastico è stato scoprire, durante uno dei primi soggiorni lavorativi a Southampton, come sia Netwon Morton sia Italo Barrai ritenessero che l’altro avesse “davvero un caratteraccio”, ma quanto grande fosse la stima l’uno per l’altro.

“Se continuerete a fare questo mestiere,” ci diceva con orgoglio, “sarete la F2 di Cavalli-Sforza e Newton Morton.” Sono frasi che si capiscono compiutamente solo da vecchi, quando la carriera volge al termine e ci si pongono le inevitabili domande: “Ho insegnato qualcosa? Sono servito a qualcosa?”. Nell’impossibilità (per quasi tutti) di trovare una risposta onesta e credibile, le genealogie offrono consolazione. E allora elenchiamole qui, le generazioni filiali di Italo Barrai: nella F1, oltre a chi scrive, Isabella Ceccherini al Gaslini di Genova, Antonella Russo a Padova, Guido Frosina al San Martino di Genova, Álvaro Rodriguez in Venezuela, Franz Manni al Musée de l’Homme di Parigi. E poi una vasta F2, con Enza Colonna al CNR e all’Università del Tennessee; Lounès Chikhi a Tolosa e alla Fondazione Gulbenkian in Portogallo; David Caramelli a Firenze; Isabelle Dupanloup a Ginevra; Chiara Romualdi e Giulietta Di Benedetto a Padova; Luìsa Pereira a Porto; Manlio Fusciello a Helsinki; Krisztina Vasarhelyi a Vancouver; Serena Tucci a Yale; Michela Leonardi a Cambridge. A Ferrara la sua “progenie scientifica”, come scherzosamente ha definito una di noi, è particolarmente numerosa: Elisabetta Mamolini, Silvia Ghirotto, Andrea Benazzo, Alberto Carrieri e Gloria Gonzalez-Fortes continuano a portare avanti, insieme a chi scrive, la sua passione per la genetica. C’è chi si occupa di DNA antico e chi di vaccini, chi studia l’evoluzione dei primati e chi sviluppa metodi bioinformatici: e anche questo espandersi degli interessi e dei campi d’indagine è bello e giusto.

Insieme ai tanti che, per vent’anni attraverso il Dottorato di Scienze Genetiche da lui diretto hanno trovato la loro strada nella ricerca, tutti noi dobbiamo qualcosa, o molto, a Italo Barrai.

Guido Barbujani e Chiara Scapoli

Un ricordo di Italo Barrai

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