Heinzendorf (Hynčice), 20 luglio 1822 – Brünn (Brno), 6 gennaio 1884
Mariano Rocchi
Dipartimento di Biologia
Università di Bari
mariano.rocchi@uniba.it
Siamo all’8 maggio del 1900 e William Bateson, zoologo del St. John’s College di Cambridge, sta viaggiando in treno verso Londra per tenere un seminario alla Royal Horticultural Society. Aveva preparato un intervento sugli importanti risultati ottenuti dal botanico olandese Hugo De Vries, che lui conosceva bene anche per averlo ospitato a casa sua l’anno prima in occasione della First International Conference on Hybridization and Plant Breeding a Londra, a cui entrambi avevano partecipato. Bateson racconterà poi di aver letto qualche giorno prima la versione in tedesco dell’ultimo lavoro di De Vries, che la Società Tedesca di Botanica aveva pubblicato nell’aprile precedente. In una nota, e solo in essa, De Vries riportava, a denti stretti, di essersi accorto che i suoi stessi fondamentali risultati erano stati pubblicati nel 1866 dal monaco moravo Gregor Mendel. Il perché del “a denti stretti” lo vedremo dopo. Per ora c’è solo da notare che nella versione in francese del lavoro, che aveva preceduto di pochissimo quella in tedesco, la nota non c’era. Bateson, letta la nota, era riuscito a procurarsi l’articolo di Mendel e ora, sul treno, se lo stava leggendo. E sul treno, racconta sempre Bateson, la folgorazione, con conseguente stravolgimento della scaletta della sua presentazione. Al centro ci sarebbe stato Gregor Mendel. Il mendelismo sbarcava così trionfalmente nella patria di Darwin.
La storia di questo sbarco è, molto probabilmente, alquanto diversa da questa leggenda creata da Bateson stesso con lo scopo di legare strettamente il suo nome a quello di Mendel, avendo capito che i risultati di questo oscuro monaco moravo avrebbero rappresentato una tappa fondamentale della storia della biologia. Ma a capirlo furono anche altri tre. La mancanza di date sicure di quando questi “riscopritori” abbiano avuto in mano il lavoro di Mendel rende la ricostruzione dei meriti e dei demeriti di ognuno un po’ incerta, nonostante ci siano varie pubblicazioni in merito. Un tentativo di ricostruzione nel seguito.
Narrare a dei biologi l’importanza di Mendel per gli sviluppi della genetica mi sembra proprio superfluo, anche se dei cenni sull’eugenica, nata da una prima semplicistica interpretazione della selezione naturale abbinata alla genetica, sarebbero molto interessanti. La spinta a scrivere questo articolo è nata invece dal desiderio di colmare una (mia) lacuna. Della vita di Darwin si conoscono, per così dire, vita morte e miracoli. Di Mendel ben poco (sempre riferito a me). In effetti, sicuramente molti di noi hanno letto L’Origine delle Specie, disponibile in tutte le lingue e anche in formato digitale, ma chi ha letto l’articolo originale di Mendel? Fra le ultime traduzioni in italiano, si ricordano quella di Brunetto Chiarelli (Rizzoli, 1984) e Renzo E. Scossiroli (Jaca Book, 1986), entrambe pubblicate in occasione del centenario della morte di Mendel, e un’altra di Alessandro Minelli (Mimesis, 2014). Di recente, in occasione del duecentenario della nascita, una nuova traduzione critica di tutte le opere biologiche di Mendel è stata realizzata, sulla base dei testi originali in tedesco, da Alessandro Volpone (in corso di pubblicazione), ed è da queste traduzioni che provengono i virgolettati. E approfitto per ringraziarlo della lettura critica di questo articolo.
Il desiderio di colmare questa lacuna mi ha portato a cercare libri che parlassero soprattutto della vita, della psicologia, del contesto culturale e sociale di Mendel, oltre a dettagli sulla sua riscoperta.
Le fonti più interessanti che ho trovato, da questi punti di vista, sono il libro di Robin Marantz Henig intitolato “The monk in the garden: the lost and found genius of Gregor Mendel, the father of genetics” (Mariner Books, 2001, disponibile anche in digitale), e il già citato volume di Scossiroli nel quale si trova la traduzione del Versuche, intitolato “I primi passi della genetica. Scoperta e riscoperta delle leggi di Mendel sull’ereditarietà dei caratteri”. È da questi libri che ho preso molti spunti, ed è a questi libri che rimando per approfondimenti.
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Johann (poi Gregor) Mendel era il secondo di tre figli, Veronika, lui e Theresia. Era nato a Heinzendorf (ora Hynčice; enclave tedesca), nel nord della Moravia (impero Austriaco), il 20 luglio 1822, da Anton, contadino che aveva riscattato la sua terra, e Rosine.
Alla scuola elementare parrocchiale Johann era stato un ottimo alunno e l’apprezzamento costante dei suoi insegnanti, unito alla sua grande voglia di proseguire negli studi, gli avevano spianato la strada ai passaggi successivi, la scuola media a Leipnik e l’Imperial Royal Gymnasium a Troppau (ora Opava), pur essendo di famiglia povera. Per mantenersi agli studi, vista la situazione della famiglia, si arrangiava dando ripetizioni, ma era comunque in difficoltà economiche. In Troppau seguì un corso per insegnare.
In questo periodo (1839) Johan, 17 anni, in vacanza estiva dal Gymnasium, si mette a letto per 4 mesi, proprio mentre il padre aveva problemi di salute. Il mettersi a letto per una malattia misteriosa (ansietà?) si ripeterà in altre occasioni di stress, come dopo le sue sconfitte accademiche. Johann non ci si vedeva come contadino, e questo pesava su di lui perché, come unico figlio maschio, avrebbe dovuto subentrare al padre nella conduzione del lavoro dei campi. Il mettersi a letto era sicuramente l’indizio di grande disagio. I rapporti con la famiglia migliorarono allorquando il marito di Veronika, la sorella maggiore, prese la conduzione del lavoro dei campi. Ma, dal punto di vista economico, la svolta la diede la sorella minore, Theresia, ancora giovanissima, che con grande generosità cedette una quota della sua dote per aiutarlo a mantenersi agli studi. Per gratitudine, Mendel sarà poi di molto aiuto ai tre figli di Theresia che frequenteranno il Gymnasium di Brno e che diventeranno poi medici.
Nell’autunno del 1839 ritorna comunque al ginnasio che termina, e successivamente si iscrive al Phylosophical Institute a Olmütz (oggi Olomouc) (1840-43). Non tragga in inganno il termine “Phylosophical”, retaggio della preminenza della filosofia sulle altre scienze nei secoli precedenti. Vi si studiavano anche materie scientifiche come la matematica e la fisica. Per inciso, Galileo aveva rivolto il suo Sidereus Nuncius a “philosophis atque astronomis” (a filosofi e astronomi, nell’ordine); il titolo completo dei Principia di Newton è Philosophiae Naturalis Principia Mathematica. E, del resto, PhD sta per Philosophy Doctor.
Friedrich Franz, sacerdote e suo professore di fisica al Gymnasium, ne aveva grande stima e anche in considerazione delle sue difficoltà economiche lo indirizza al convento agostiniano di S. Tommaso a Brno, dove lui stesso era stato per 20 anni. Questo nel 1843. La strada ecclesiastica per proseguire negli studi era verosimilmente, per Mendel, l’unica alternativa disponibile.
Il convento era sorto nel 1322 come fredda fortezza per proteggere le monache cistercensi. Gli Agostiniani, verso la fine dell’700, avevano il loro convento in un lussuoso palazzo del centro di Brno, allora capitale della Moravia. Ma l’imperatore Francesco II d’Asburgo-Lorena volle farne la sua residenza principale in Moravia, e fece traslocare i frati nell’ex-convento delle Cistercensi. Per l’occasione il convento fu molto migliorato, accorpando, per esempio, le celle a formare degli alloggi più ampi e ospitali. Il convento è dominato da una collina, su cui si staglia la fortezza dello Spielberg, dove Silvio Pellico passò un periodo di villeggiatura (1822-1830).
In generale non si associa un convento a un centro di eccellenza scientifica, ma il convento di S. Tommaso lo era. Gli Agostiniani avevano come loro motto “Per scientiam ad sapientiam”. Erasmo da Rotterdam era agostiniano. In effetti Franz lo aveva indirizzato lì soprattutto per questo, con una lettera di presentazione per l’abate Cyrill Napp, suo amico, dove presentava Mendel non come il più pio dei suoi alunni, ma come uno dei migliori studenti di fisica. Franz conosceva bene il suo Napp.
Brno, 70 mila abitanti, era un centro culturale di notevole levatura. C’erano un politecnico, varie orchestre, un istituto filosofico (vedi sopra) e varie società scientifiche, tra cui la Società Imperiale della Moravia e della Slesia per il Miglioramento dell’Agricoltura, delle Scienze Naturali e della Conoscenza della Nazione, di cui, dal 1827, era presidente proprio l’abate Napp. L’imperatore Francesco I, del resto, aveva dato l’incarico al convento di fornire docenti di fisica e di religione all’Istituto Filosofico di Brno. Da non dimenticare che Ernst Mach (velocità del suono: Mach 1) e Milan Kundera sono di Brno. La biblioteca del convento aveva più di 20,000 volumi e Mendel ne sarà un assiduo frequentatore. E Brno era anche un centro di eccellenza nella cucina, la cucina del convento in particolare (che influenzò sicuramente il girovita di Mendel). Le ragazze vi accorrevano per poi trovare lavoro nei palazzi aristocratici di Vienna, dove la cucina morava era tenuta in alta considerazione.
Come novizio Mendel aveva studiato, oltre alle materie teologiche, anche archeologia, ebraico e greco. L’abate l’aveva poi stimolato a coltivare meteorologia, botanica, fisica e matematica. Inoltre, gli aveva garantito libero accesso alla serra. Da notare che l’interesse di Mendel per l’orticoltura era iniziato già alle elementari.
Nel 1843, anno di arrivo di Mendel al convento, era diventato giardiniere il suo confratello Matouš Klácel, con cui Mendel intratterrà una lunga amicizia. Klácel era insegnante di filosofia, ma aveva fatto importanti osservazioni su alberi trapiantati dai monti della Moravia a Brno, senza notare i cambiamenti che invece si pensava sarebbero sopravvenuti a causa del cambiamento dell’ambiente. Klácel aveva poi perso l’insegnamento per alcuni scritti in favore della Naturphilosophie, in cui erano adombrati concetti di evoluzione. E la pubblicazione di un suo scritto non fu mai autorizzata perché vi era stata vista una difesa delle minoranze linguistiche che l’Impero Austriaco (diventerà Austro-Ungarico nel 1867) non apprezzava proprio. Nel 1848, anno di sommovimenti in Europa, Klácel e Mendel furono tra i sette firmatari di una petizione in favore dei diritti civili dei preti in Moravia. Petizione ignorata.
Nel 1847 Mendel fu ordinato sacerdote, e per più di un anno svolse attività pastorale, a contatto anche con povera gente, con malati e moribondi. Lo stress, per il suo carattere, fu enorme e, per la seconda volta, lo troviamo a letto per un mese senza una malattia specifica. E qui inizia quella serie di iniziative di Napp in favore di Mendel che saranno cruciali per il suo futuro. Senza Napp non avremmo mai conosciuto Mendel. Napp decise che Mendel si dovesse dedicare all’insegnamento. E difese questa scelta contro il parere di Schaffgotsch, vescovo di Brno, più alto in grado di Napp nella gerarchia ecclesiastica, ma molto più in basso in quella scientifica. E, sempre a proposito del vescovo, bisogna dire che non sempre tutti i mali vengono per nuocere. Mendel aveva iniziato degli esperimenti di ibridazione con i topi, ospitati in una delle sue due stanze, e Napp ne era ovviamente al corrente. Il vescovo, venutone a conoscenza, vi si oppose, questa volta senza appello. La cosa, secondo il vescovo, proprio non era consona ad un monaco. A questo proposito: a Mendel capiterà di parlare di incroci a lezione. A qualche sorrisetto malizioso degli studenti Mendel replicherà di non fare gli stupidi, essendo cose naturali!
A proposito di benevolenza dell’abate Napp per Mendel, non bisogna dimenticare che Napp si interessava molto di agricoltura (vedi sopra) per cui, oltre alla benevolenza, entra in gioco sicuramente una forte condivisione di interessi scientifici.
Nell’autunno del 1849 Mendel inizia quindi il suo insegnamento di matematica e greco nel Gymnasium della città di Znail (oggi Znojmo), come sostituto (e quindi a metà stipendio). E nell’insegnamento Mendel ha, e avrà sempre, successo, tanto che il Gymnasium stesso lo propone per l’esame di certificazione in scienze naturali e fisica. Gli esami di certificazione si tenevano a Vienna. E si arriva così all’agosto del 1850. Mesi prima Mendel aveva spedito alla commissione una prova scritta su zoologia, meteorologia e geologia. Gli esami erano personalizzati, nel senso che i sei esaminatori sarebbero stati lì solo per lui. Con una lettera del 1o agosto, Andreas von Baumgartner, fisico molto noto e presidente della commissione, aveva convocato Mendel per metà agosto per la prova orale. Però poi ci aveva ripensato, considerando che le vacanze per i docenti iniziavano il 12 agosto, e aveva spedito una seconda lettera rimandando la prova orale all’autunno. Questa seconda lettera però non arrivò mai a Mendel, ed ecco Mendel presentarsi inatteso agli uffici di Baumgartner. Possiamo immaginare che Baumgartner abbia tentato di convincerlo a rimandare l’esame, anche per non convocare in fretta e furia i commissari, già pronti per le vacanze. Contrariamente al suo carattere, Mendel insistette e l’esame fu fissato per il 15 agosto. L’insistenza di Mendel, carattere timido, fu probabilmente dettata dal desiderio di iniziare il nuovo anno scolastico a pieno titolo (e a pieno stipendio). La effettivamente scarsa prova scritta, la probabile non buona disposizione degli esaminatori dovuta alla improvvisa convocazione, e la impacciata prova orale di Mendel si conclusero con una bocciatura. Baumgartner si era reso conto della molta buona volontà del candidato, e nella lettera di comunicazione all’abate Napp gli suggerisce di far frequentare corsi accademici all’autodidatta Mendel. Suggerimento pienamente accettato dall’abate, a ulteriore dimostrazione di benevolenza e di una notevole stima per Mendel. Vienna, capitale dell’impero, era un ambiente scientifico di primissimo ordine. Mendel dovette destreggiarsi, prima di tutto, a trovare una sistemazione perché l’abate, nonostante le sue entrature, non era riuscito a trovarne una in un convento. La cosa non era piaciuta affatto al vescovo, per la fama di Vienna come la “Capua della mente”, con riferimento agli ozi di Annibale. Ma Napp, sempre da sottolineare, aveva avuto ancora la meglio, e così Mendel parte, anche se in ritardo rispetto all’inizio dei corsi, e trascorre due anni a Vienna seguendo corsi non solo di scienze naturali, ma anche, forse soprattutto, di matematica e fisica, in cui eccelleva. A conferma delle sue capacità, Christian Andreas Doppler (quello dell’effetto Doppler del suono) gli offrì un posto aggiuntivo come assistente di laboratorio (élève) di fisica sperimentale. Segno di considerazione, visto che Mendel aveva iniziato a frequentare le lezioni in ritardo per il problema della sistemazione, e che i 12 posti previsti come élève erano stati tutti già assegnati. Ma Doppler, malato, lascia presto l’insegnamento. Gli succede Andreas von Ettingshausen, valente matematico e fisico, autore anche di un libro sul calcolo combinatorio. E il destreggiarsi con i numeri e le loro combinazioni sarà fondamentale per Mendel. Ettingshausen è la chiave che ci permette di capire perché Mendel sia arrivato dove è arrivato e perché gli altri non lo capirono. Mancavano loro le basi matematiche.
Anche molto importante fu l’insegnamento del botanico Franz Unger sugli esperimenti di ibridazione condotti in precedenza dai botanici tedeschi Josef Kölreuter and Karl Friedrich von Gärtner. Siamo nel periodo in cui Matthias Jakob Schleiden e Theodor Schwann scoprono che tutte le piante e gli animali sono composti da cellule, introducendo a pieno titolo la biologia nel campo delle scienze sperimentali esatte. E con Unger entra in scena il Pisum sativum, che dei botanici inglesi avevano descritto come molto adatto alle ibridazioni controllate, sia per la forma dei fiori, con antere facilmente manipolabili, sia per la facile identificazione di alcuni caratteri. Meno provvida, come si vedrà in seguito, fu la reverenza di Unger verso Karl von Nägeli, rinomato botanico di Monaco, che comunque fu un forte promotore della tesi che i fenomeni della vita potessero essere ricondotti a leggi fisiche e chimiche. Con Unger, Mendel sentì senz’altro parlare di metamorfosi e transmutazione (parola poi sostituita da evoluzione), anche se le idee erano tutt’altro che chiare. Alcuni compagni di studi di Mendel li ritroveremo in seguito, come Johann Nave, studente di legge ma molto interessato alle lezioni di Unger. Nave nel 1854 si trasferirà a Brno e, da avvocato, continuerà a coltivare la botanica e l’amicizia con Mendel. I due saranno tra i membri fondatori della Società per lo Studio delle Scienze Naturali di Brno.
Al ritorno da Vienna, e dopo un breve periodo passato a letto per lo stress della bocciatura, riprende l’insegnamento, questa volta nella scuola secondaria Realschule (Reale Scuola) della stessa Brno e riprende la coltivazione dei piselli per essere sicuro di avere in mano linee pure.
1856. Sono passati 6 anni dalla débâcle dell’esame per la certificazione all’insegnamento. Era tempo di riprovare. Ma il risultato fu peggiore del primo. Inciampato sulla prima domanda, si ritira. Cosa sia successo esattamente non lo sappiamo. Abbiamo però degli indizi che coinvolgono Eduard Fenzl, suo esaminatore e già uno dei suoi insegnanti di botanica. Fenzl era un “preformista” convinto, fautore cioè del fatto che il polline, o il gamete maschile in generale, era già preformato e che gli mancava solo un contesto appropriato per svilupparsi. Mendel non condivideva assolutamente questa teoria. Preferì capitolare piuttosto che arrendersi? Non lo sappiamo con certezza. Di sicuro troviamo di nuovo Mendel a letto. E fu necessario chiamare suo padre e suo zio da Heinzendorf per tirarlo giù dal letto.
Non sappiamo chi abbia incontrato Mendel durante questo suo ultimo e breve soggiorno viennese. Il suo professore di botanica Franz Unger? In questo caso è probabile che i due siano tornati a parlare della non fissità delle specie. Per poco Unger non era stato licenziato per queste sue idee. The Origin of Species di Darwin uscirà tre anni dopo, nel 1859. Da notare che la chiesa cattolica morava era molto progressista, con eccellenze in campo scientifico, Napp fra questi, ed era molto distante dalle posizioni pesantemente conservatrici di Pio IX.
Dopo la débâcle e il letto, troviamo Mendel molto impegnato con i piselli, nell’orto che dava ai frati molta verdura, tra cui i cetrioli che Mendel adorava. “Preparate i cetrioli che arrivo”, scriveva ai suoi annunciando una sua visita.
Un evento importante e positivo di questo periodo è costituito dal fatto che Napp fa costruire una struttura molto più grande della serra esistente allora, in cui Mendel poté iniziare coltivazioni su più ampia scala. Dopo aver seguito le lezioni di von Ettingshausen, a Mendel era molto chiaro il concetto che a numeri piccoli corrispondono fluttuazioni molto ampie, difficili da interpretare, e probabilmente Napp ne era rimasto convinto. A questo impegnativo lavoro di Mendel contribuì forse un senso di rivalsa/riscatto/rifugio come conseguenza delle sue débâcle accademiche? Difficile escluderlo. E, sempre Napp, nel 1855 aveva fatto costruire una serra, riscaldata d’inverno, per gli agrumi. Mendel ne fece il suo rifugio preferito, dotandolo di un tavolo per scrivere, di sei sedie di giunco e di un tavolo per gli scacchi, una sua passione. Lo possiamo immaginare mentre gioca a scacchi con il nipote più giovane nel periodo che questi era al Gymnasium a Brno, tenendo in bocca uno dei circa venti sigari che fumava ogni giorno come cura dimagrante prescrittagli dal suo medico. Da abate sarà solito intrattenere gli ospiti in questa serra.
Con il 1856 tutti i problemi, per Mendel, sembrano superati. Le linee pure erano pronte per le ibridazioni e l’insegnamento molto gratificante. In questo periodo assume l’incarico ufficiale di meteorologo, con tre osservazioni giornaliere da registrare e con rapporti da inviare mensilmente a Vienna. La fama di meteorologo fu il maggiore riconoscimento scientifico che Mendel ebbe in vita.
Ma il 1856 è anche l’anno in cui iniziano i primi esperimenti di ibridazione. Piselli rotondi x rugosi. La semina delle due linee pure era forse iniziata il giorno di S. Gregorio (12 marzo), secondo il detto moravo “Chi non coltiva la sua terra entro il giorno di Gregorio è un uomo pigro”. E a maggio Mendel lavora alacremente alle ibridazioni, prima che, con la maturazione completa del fiore ermafrodita, l’autoimpollinazione renda vani gli esperimenti. Le due varietà sono a file alterne. Armato di pinzette scorre la prima fila di piselli e castra i fiori della parte maschile, le antere, prima che maturino, e copre ogni fiore con un cappuccio. Per la seconda varietà, in seconda fila, attende che le antere siano mature, per utilizzarle per la impollinazione della prima fila, che opera con un pennellino di peli di cammello, rimettendo accuratamente il cappuccio sul fiore per evitare l’arrivo di polline intruso. Per avere un’idea della mole di lavoro e della pazienza necessaria per le ibridazioni, vedere questo documentario su Youtube.
La ibridazione di piante era una pratica sperimentale diffusa, ma le interpretazioni spesso andavano in direzioni opposte a quelle che otterrà Mendel. Josef Kölreuter, botanico tedesco, aveva incrociato due specie di tabacco, Nicotiana rustica e Nicotiana paniculata. Dopo due anni, la N. rustica si era trasformata in N. paniculata. Kölreuter ne era rimasto meravigliato e interdetto, visto il suo background filosofico/religioso molto simile a quello di Linneo: “Species tot numeramus quot a principio creavit infinitum Ens” (Tante sono le specie oggi esistenti quante furono quelle create in principio dall’Ente infinito). Fu quindi con sollievo che constatò che, alla fine, la pianta era diventata praticamente sterile. Charles Naudin, francese, nel suo saggio del 1862 per l’Accademia Parigina delle Scienze (che Darwin aveva letto), descrive gli esperimenti di ibridazione che lui aveva operato. Ma aveva i pregiudizi linneiani di cui sopra. Il ritorno alla forma parentale delle sue primule era avvenuta perché “La natura è desiderosa di dissolvere le forme ibride … che l’arte o il caso hanno violentemente unito“. Se Naudin avesse letto Il Saggiatore di Galileo avrebbe appreso che “Il libro della natura è scritto in lingua matematica“. Invece per Naudin e molti altri botanici che lavoravano sulle ibridazioni (compreso Darwin!), la matematica era una illustre sconosciuta. Era invece decisamente ben impiantata nella testa di Mendel, soprattutto nelle sue espressioni più recenti del calcolo combinatorio che aveva appreso appunto da von Ettingshausen a Vienna. E in questo contesto come non pensare alla storia dell’equilibrio di Hardy-Weinberg (problema che Godfrey H. Hardy, famoso matematico di Cambridge, risolse in una attimo, vista, per lui, la semplicità del problema).
Torniamo ai piselli di Mendel. Queste le 7 caratteristiche scelte da Mendel per i suoi esperimenti (dominanti in maiuscolo).
1 forma del seme, ROTONDO (LISCIO) o rugoso
2 colore dell’albume del seme, GIALLO o verde
3 colore del tegumento cui corrisponde il colore dei fiori, VIOLA o bianco
4 forma del baccello RIGONFIO o raggrinzito
5 colore del baccello immaturo, GIALLO o verde
6 posizione dei fiori, distribuita SULLO STELO o solo all’apice
7 altezza della pianta, ALTA o nana
Ora sappiamo che 5 di questi 7 loci sono su cromosomi diversi, e i due sullo stesso cromosoma sono alle estremità. Quindi nessun linkage a complicare la interpretazione dei risultati. E a molti viene subito da esclamare ”C…o”! (che non è cielo 🤭). E invece no! O perlomeno solo in parte, perché le caratteristiche inizialmente prese in considerazione da Mendel erano 34! Infatti, i due anni per i “dati preliminari” servirono non solo per avere linee sicuramente pure, ma anche per scegliere quei tratti che gli sembravano più facili da seguire. Quei tratti, cioè, in cui l’ibrido manifestava uno solo dei caratteri parentali, anche invertendo la pianta accettrice e la pianta donatrice del polline (reciprocità degli incroci). Escluse quindi quelle varietà in cui gli ibirdi davano forme intermedie. Mi chiedo cosa lo avesse guidato in questa scelta che, per fortuna, gli escludeva i problemi di una eredità quantitativa che non lo avrebbe portato da nessuna parte.
L’Eureka di Archimede rappresenta il momento in cui l’intuizione illuminante prende forma e dipana il caos delle osservazioni e dei dati. La mela che cade in testa a Newton è quasi sicuramente una leggenda, ma sottolinea il momento dell’Eureka. Quell’’1” che Darwin, nel 1837, aveva disegnato alla base dell’albero della vita nel suo quaderno di appunti rappresenta il suo Eureka sulla unitarietà della vita sulla terra. Lui però, modestamente, in alto scrive “I think”. Ci deve essere stato sicuramente un momento in cui, dalla mole dei dati, le sue leggi hanno preso forma nella sua mente. Ma di note o appunti di Mendel non abbiamo nulla, poiché alla sua morte tutte le sue cose furono bruciate in un falò, come era prassi dopo la morte di un monaco. Nei necrologi fu ricordato essenzialmente per la meteorologia e l’apicoltura. Tutti i suoi risultati sugli ibridi erano da un pezzo nel dimenticatoio. Alcune informazioni e aneddoti sulla vita di Mendel inizieranno a emergere solo quando, agli inizi del ‘900, Mendel verrà riscoperto, cioè a circa due decenni dalla morte. Le lettere scambiate con Nägeli sono una delle poche cose che abbiamo. Fu pubblicata da Karl Correns, cui erano pervenute non dal tavolo di Mendel, ma da quello di Nägeli, che era stato suo insegnante, e con cui era in rapporti stretti per averne sposato la nipote. L’assenza di appunti, inoltre, rende impossibile una ricostruzione accurata della sequenza temporale degli esperimenti di ibridazione. Abbiamo solo la sequenza logica descritta nella pubblicazione del 1866, ma che non necessariamente corrisponde all’iter effettivo delle sue sperimentazioni.
Questi i ritmi annuali dei suoi esperimenti iniziati nel 1856. Preparazione del terreno, semina in marzo, impollinazione in primavera e raccolta dei dati in estate o autunno a seconda che la caratteristica da esaminare fosse dei fiori, del baccello o dei piselli. In questi ultimi casi Mendel portava i sacchi dei baccelli, la cui provenienza era stata ben contrassegnata, nella serra riscaldata. Seduto poi su una delle sedie di giunchi, con pazienza apriva tutti i baccelli e riponeva i piselli in altri sacchi, etichettati secondo la caratteristica e la fila da cui provenivano. Si calcola che Mendel abbia analizzato in tutto 10.000 piante, 40.000 fiori e 300.000 piselli. Contare, contare, contare… Era una forma mentis appresa a Vienna (von Ettingshausen) che Mendel applicava anche nei suoi compiti di meteorologia e di altro.
Il primo dato che compare nella pubblicazione sono le informazioni, per ognuna delle 7 coppie prese in considerazione, di quale variante fosse dominante e quale recessiva. I termini “dominante” e “recessivo”, non erano stati mai usati prima di lui, anche se il concetto non era nuovo (Darwin nel 1868 userà il termine “prepotency”), e usa la notazione “A” per dominante e “a” per recessivo; anche questa notazione “proprietaria”.
Per ognuno dei 7 ibridi ottenuti Mendel procede con l’autoimpollinazione, operativamente molto più semplice, ma impegnativa nella raccolta e conta dei piselli. Mendel, per ogni ibrido, analizzerà circa 250 piante. Conteggi per la coppia dei semi rotondi-rugosi: 7.324 semi, di cui 5.474 rotondie 1.850 rugosi; rapporto 2,96:1. Per il colore dell’albume: 8.023 semi, di cui 6.022 gialli e 2.001 verdi; rapporto 3,01:1. Per farmi un’idea di questi numeri, ho comperato 1kg di piselli. Ne ho contati 800 (tutti verdi :). Dopo aver riportato i risultati degli altri 5 esperimenti Mendel conclude: “Combinando fra loro i risultati di tutti gli esperimenti, quindi, il rapporto medio tra il numero di forme con caratteri dominanti e recessivi è 2,98:1, cioè 3:1 “.
E Mendel esplicita in maniera chiarissima perché servissero numeri così alti. Dice: “Come casi estremi nella distribuzione di queste due coppie di caratteri del seme, in una medesima pianta, si sono registrati i seguenti: nella prima serie di esperimenti, sono stati osservati 43 semi rotondi e solo 2 irregolari, oppure 14 semi rotondi e 15 irregolari, mentre nella seconda serie di esperimenti, 32 semi gialli e solo 1 verde, ma anche 20 gialli e 19 verdi. Queste due serie di osservazioni sono importanti per determinare il valore del rapporto medio, e mostrano d’altronde che, con un numero minore di dati sperimentali, possono verificarsi fluttuazioni anche considerevoli.”. Ettingshausen aveva colpito in profondità. Ma per i botanici di allora questi concetti erano tutt’altro che chiari.
Torniamo al rapporto 3:1. Nessuno l’aveva indicato negli esperimenti di ibridazione riportati fino ad allora. In molti casi il rapporto, quando calcolato, indicava vagamente un 2:1, che forse si adattava meglio alla concezione del “blending” allora dominante (vedi sotto). Nella pubblicazione del 1868 di Darwin, su riportata, i numeri erano 88 e 37, cioè 2.4:1 (rapporto che Darwin non riporta 🤔). Da notare che Mendel indica l’omozigote AA o aa rispettivamente A e a. Ma non ci sono assolutamente dubbi, soprattutto dalle figure, su cosa intendesse (vedi Figura 1).
Il passo successivo nel cammino sperimentale di Mendel fu la F2 (lui non usa questa notazione, introdotta successivamente da Karl Correns), cioè l’autoimpollinazione. Che la forma recessiva rimanesse stabile gli era già chiaro da prima. Ma cosa era nascosto nel “3” dominante? I numeri suggeriscono che gli attribuisse molta importanza. Per la coppia rotondo-rugoso analizza 565 piante ottenute da semi rotondi (ibridi). Risultato: 372 piante danno semi rotondi/rugosi nel rapporto 3:1, mentre 193 danno solo piselli rotondi (e rimangono costanti). Rapporto 1.93:1 (2:1). Il 3:1 della F1 è quindi in realtà 1:2:1 (o come dice lui 2:1:1). E trova riscontri perfetti nelle generazioni successive degli eterozigoti. Riporto. “Considerando la totalità degli esperimenti e tenendo conto, al contempo, della doppia accezione del carattere dominante, secondo la quale esso può manifestarsi come carattere ibrido o parentale, il rapporto iniziale 3:1 può essere quindi trasformato nel rapporto generale 2:1:1. Poiché i membri della prima generazione provengono direttamente dai semi degli ibridi, è dunque evidente che i discendenti di una coppia di caratteri alternativi portano semi che producono piante di cui la metà sviluppa nuovamente la forma ibrida, mentre l’altra metà rimane costante, conservando in egual misura il carattere dominante e recessivo”. Questo risultato assume grande importanza per Mendel, che controlla che il dato ottenuto si ripeta identico, cosa che avviene, per varie generazioni; ben 7 per la coppia rotondo/rugoso! 🤔 Per 7 generazioni vuol dire per 7 anni. Ma Mendel all’inizio del suo articolo dice che gli esperimenti coprono un arco di 8 anni. Quindi alcuni esperimenti sono stati portati avanti in contemporanea. E qui torna il dubbio se la sequenza logica degli esperimenti come desunta dall’articolo corrisponda a quella effettiva sul campo.
Dunque. A questo punto (non dopo i 7 anni!) io credo che sia esploso il primo Eureka! E la raffigurazione del risultato che ne dà nella pubblicazione è chiarissima. Non usa il quadrato di Punnett che verrà introdotto da Punnett appunto, ma la corrispondenza è evidentissima.
Tradotto in concetti moderni, diremmo che Mendel aveva ora chiaro che il fenotipo può ingannare. Piselli gialli potevano essere AA o Aa. E da questi esperimenti risulta molto chiara, a Mendel, l’entità “discreta” dei tratti (il contrario del blending), ma quale concetto aveva Mendel di “tratto” o “caratteristica”? Sicuramente era distante dal concetto odierno di gene. Ma di quanto? Può essere di aiuto il fatto che Mendel usa la parola tedesca Merkmal (tratto, in senso fenotipico) 150 volte, mentre Elemente (elemento), usato però solo al plurale, solo 10 volte. Il riferirsi ai termini tedeschi è importante perché la traduzione inglese degli inizi del 1900 traduce Merkmal con “unit” o “factor” o “determinant”, che appaiono come una discreta tiratina di giacca, o meglio di tonaca, a Mendel. I concetti di cromosoma, di mitosi e soprattutto di meiosi e DNA erano ancora sconosciuti. Quel che si può affermare con una certa sicurezza è che Mendel, in un’epoca nella quale August Weismann non aveva ancora distinto negli organismi fra linea germinale e linea somatica (cosa accaduta solo negli anni ’80 dell’Ottocento), aveva già chiaro in mente che le piante avessero una “costituzione interna” (Beschaffenheit) solo in parte corrispondente al loro aspetto esteriore, distinguendo fra “somiglianza interna ed esterna” (äußere und innere Verwandtschaft). Per cui, egli rimarcava «quanto possa essere azzardato, in certe circostanze, trarre conclusioni sulla somiglianza interna posseduta dagli ibridi a partire dalla loro somiglianza esterna». E più avanti Mendel osservava: «La differenza nei caratteri di due piante, in ultima analisi, può quindi basarsi solo sulla diversa costituzione interna delle cellule di base in esse responsabili dell’interazione vitale, e nel differente raggruppamento degli elementi che vi partecipano». In quest’ultima frase torna il riferimento agli Elementen interni costitutivi delle cellule riproduttive, di cui si diceva, ma soprattutto appare evidente, ante litteram, la distinzione fra genotipo e fenotipo.
Questi anni furono anni felici per Mendel. Era molto contento dell’insegnamento alla Realschule di Brno, dove insegna, molto apprezzato, materie scientifiche, e anche della cucina morava. E trovava piena soddisfazione nel suo coinvolgente lavoro sui piselli. Per invitare un suo visitatore a vedere le sue coltivazioni di piselli chiedeva “Ti piacerebbe vedere i miei figli?”
Mendel viaggiò molto poco nei suoi primi 40 anni, ma il 1862 segna una grande eccezione. Il 24 luglio Mendel, come membro di una delegazione della Realschule di Brno, parte per la grandiosa mostra internazionale di Londra (London International Exhibition), incentrata soprattutto sulla scienza e organizzata per nazioni. Questo ci riconferma del livello scientifico della Realschule e di Brno in generale, oltre che della considerazione in cui era tenuto Mendel. Il loro apporto alla mostra? Sulla cristallografia.
Ma una seconda motivazione importante era anche che Brno aveva intenzione di allestire un museo di tecnologia, e la mostra avrebbe potuto sicuramente dare degli spunti. Una foto mostra la folta delegazione davanti al Grand Hotel a Parigi, dove avevano fatto tappa nel lungo viaggio verso Londra. Mendel è in giacca, camicia chiara e cravatta scura.
Alla mostra c’era di tutto. Dal motore perpetuo a una protezione per i baffi per mangiare il brodo in sicurezza. Vi era esposto il corpo imbalsamato della famosa Julia Pastrana, messicana, barbuta (affetta da ipertricosi); “Part human, part orangutan” era riportato nella descrizione. A me sembra un riferimento, non so se positivo o negativo, al The Origin of Species, uscito pochi anni prima (1859).
Alcuni hanno pensato che questa sarebbe stata una occasione unica per Mendel e Darwin di incontrarsi. Ma l’incontro non ci fu e non poteva esserci. Proprio in quei giorni Leonard, figlio dodicenne di Darwin, era a letto con la scarlattina. Ma c’è anche da considerare la timidezza e la ritrosia di Mendel, oscuro monaco moravo, mentre Darwin era il più famoso naturalista dell’epoca, al centro del dibattito scientifico. Inoltre, Mendel non aveva ancora completato i suoi esperimenti, anche se il fatto che i caratteri non si mescolassero, ma passassero alle generazioni successive come elementi discreti, gli era già chiaro. La maggior parte degli altri naturalisti, compresi Darwin e suo cugino Francis Galton, ritenevano invece che si mescolassero (blended heredity), come fossero due tinte di colori. Per ultimo, Mendel, non conoscendo l’inglese, non aveva ancora letto The Origin of Species. Lo leggerà solo nella seconda edizione della versione in tedesco (Über die Entstehung der Arten) del 1863. Interessante comunque notare che dalle sottolineature, talvolta doppie, e dai punti esclamativi si intuisce il grande interesse suscitato in lui.
Dicevo prima che l’incontro non poteva esserci, ma anche se ci fosse stato, non si sarebbero capiti (vedi nota conclusiva).
Al suo ritorno a Brno, in autunno, Mendel riprende l’insegnamento e torna sui suoi esperimenti.
Siamo all’incrocio per due coppie di caratteri, rotondo/rugoso (Aa) x giallo/verde (Bb). Ottenuto l’eterozigote (termine introdotto sempre da Karl Correns), ottiene i diibridi AaBb, che esprimono solo le forme dominanti. Segue poi l’autoimpollinazione, con i seguenti risultati: 315AB, 101Ab, 108aB, 32ab. In numeri, 315, 101, 108, 32. I rapporti, riportati da Correns, non da Mendel, risultano 9:3:3:1. Seguono vari esperimenti di controllo, sempre concordanti. Mendel conclude. “La progenie degli ibridi, dunque, quando in essa si combinano due [coppie di] caratteri distinti, si sviluppa secondo la seguente serie:
AB + Ab + aB + ab + 2ABb + 2aBb + 2AaB + 2Aab + 4AaBb. Essa è indubbiamente il risultato della combinazione delle due serie di sviluppo relative ai caratteri A e a, B e b. La serie completa delle forme, infatti, si ottiene combinando fra loro i singoli termini delle seguenti due espressioni: : A+2Aa+a e B+2Bb+b”.
Le regole che lui ha trovato, in altre parole, si applicano a più caratteri simultaneamente. De Vries la chiamerà poi legge della indipendenza dei caratteri. Dice Mendel: “Si dimostra allo stesso tempo che la relazione di ciascuna coppia di caratteri diversi nell’unione ibrida è indipendente dalle altre differenze nei due genitori originari”.
Non pago degli esperimenti con due coppie di caratteri, Mendel passa a 3 coppie di caratteri (forma del seme rotonda/rugosa Aa; colore dell’albume giallo/verde Bb; colore del tegumento (e del fiore) viola/bianco Cc. “Fra tutti gli esperimenti, è quello che ha richiesto più tempo e fatica”. Queste le combinazioni:
ABC + ABc + AbC + Abc + aBC + aBc + abC + abc + 2ABCc + 2AbCc + 2aBCc + 2abCc + 2ABbC + 2ABbc + 2aBbC + 2aBbc + 2AaBC + 2AaBc + 2AabC + 2Aabc + 4ABbCc + 4aBbCc + 4AaBCc + 4AabCc + 4AaBbC + 4AaBbc + 8AaBbCc.
Tutto torna.
E fa sfoggio di padroneggiare il calcolo combinatorio con situazioni ancora più complesse. Quali sarebbero le combinazioni possibili di 7 coppie di caratteri? 2.187, calcola giustamente Mendel.
E fa poi una mole incredibile di esperimenti, compresi quelli che noi chiamiamo test cross o back cross, per trovare sempre nuovi riscontri che puntualmente arrivano.
Ma Mendel è molto umile e nota: “La validità dei principi stabiliti per Pisum, tuttavia, richiede ulteriore conferma e sarebbe quindi auspicabile ripetere almeno gli esperimenti più importanti, come ad esempio quelli sulla costituzione interna delle cellule riproduttive ibride. Durante le osservazioni, infatti, potrebbe magari essere sfuggito qualche particolare, che, quantunque apparentemente irrilevante, potrebbe non essere trascurabile rispetto al risultato complessivo. Altrettanto, anche la validità delle conclusioni per altre specie di piante dev’essere ancora dimostrata sperimentalmente, verificando che esse si comportino davvero allo stesso modo, sia pur supponendo che negli aspetti essenziali non vi siano grosse differenze, giacché sembra che l’unità nel piano di sviluppo della vita organica sia fuori discussione”. Viene subito in mente l’albero della vita di Dawin (vedi sopra). Dicevo che Mendel è molto umile. Però lo sfoggio ripetuto di conoscienze matematico-statistiche con cui analizza e disseziona i suoi dati sperimentali, hanno contribuito, secondo me, a che alcuni (mi sa quasi tutti) degli indirizzatari del suo reprint si arenassero nella lettura del suo articolo e più non vi lessero avante 🤷♂️.
La conoscenza della meiosi avrebbe molto semplificato il lavoro di Mendel. E in effetti la semplificherà ai suoi riscopritori. Ma la meiosi verrà descritta solo nel 1876 da Oscar Hertwig. È quindi con maggior considerazione delle intuizioni di Mendel che leggiamo “Siccome durante l’intero periodo vegetativo non è percepibile alcun cambiamento nell’aspetto di queste piante, dobbiamo concludere che gli elementi differenti riescano a liberarsi dalla combinazione forzata nell’ibrido solo durante la formazione delle cellule riproduttive”. Il concetto di gamete aploide, quindi, è chiarissimo per Mendel.
Arriviamo intanto all’inverno 1864/65 che Mendel probabilmente passa a preparare la relazione da presentare alla Società per lo Studio della Scienze Naturali di Brno, di cui lui era stato uno dei fondatori. La relazione è fissata per l’8 febbraio 1865, da tenersi presso la Realschule, dove lui insegnava da vari anni. Si avvia verso l’Istituto con alcuni confratelli, tenendo sottobraccio il suo manoscritto e alcuni piselli come esempio delle varietà usate. L’uditorio è formato da una quarantina di persone provenienti soprattutto dal mondo accademico, dalla stessa Realschule e da altre scuole. Manca il suo amico di Vienna, avvocato, ma appassionato di botanica, Johann Nave, morto un anno prima. Forse sarebbe stato l’unico a capire appieno la sua presentazione. Dopo l’introduzione del vice-presidente della Società, Mendel inizia a leggere la sua relazione. Possiamo immaginarlo un po’ impacciato, con voce un po’ monotona, a snocciolare numeri. Dopo circa un’ora chiude preannunciando che a breve avrebbe tenuto, a completamento, una seconda relazione. Domande? Nessuna. Forse nessuno aveva capito. La seconda relazione avviene quattro settimane dopo, l’8 marzo. Di nuovo, nessuna reazione. Come non riandare al primo luglio 1858, quando le tesi di Darwin e Wallace vengono lette davanti alla Linnean Society a Londra, davanti cioè al fior fiore dell’establishment scientifico inglese? Anche lì nessuno si rese conto che quei concetti sarebbero stati forse la più importante rivoluzione culturale del loro tempo (a dir poco).
Probabilmente, anzi sicuramente, i calcoli matematici che sottostavano alla segregazione dei gameti risultarono ostici per l’uditorio, e che la meiosi, come detto, verrà scoperta solo 25 anni dopo. Oltretutto Mendel presentò, nella seconda relazione, anche dati su altre piante. Ma mentre sui fagioli (Phaseulus vulgaris x Phaseulus nanus) i conti gli tornavano, per il colore dei fiori del Penstemon no. Insinuando quindi egli stesso delle perplessità sui suoi risultati. Nelle sue intenzioni questo forse avrebbe voluto essere solo un invito ad altri botanici a ripetere e allargare i suoi esperimenti.
Nell’ultima parte dell’articolo, infine, Mendel affronta il discorso della speciazione. E qui, per me, la sorpresa più grande. Queste tematiche non erano nuove nel suo tempo e in particolare ai suoi professori a Vienna (vedi sopra, Unger). E, cosa da tenere ben presente, Mendel aveva letto con molta attenzione The Origin of Species.
Dunque. Contro Lamarck rivendica che la legge è uguale per tutti. “Nessuno potrebbe seriamente affermare che lo sviluppo della pianta nel suo ambiente selvatico sia regolato da leggi diverse da quelle dell’aiuola di un giardino”. E ancora: “… nulla ci giustifica a supporre che la tendenza a formare varietà sia così straordinariamente accresciuta che le specie perdano presto ogni indipendenza e che la loro progenie divenga una serie senza fine di forme altamente variabili”. E se è solo l’ambiente a far variare le piante, allora quelle coltivate non dovrebbero variare mai, “Tuttavia, come noto, non è così, perché, anzi, è proprio tra queste che si trovano non solo le forme più diverse, ma anche quelle più variabili”.
E si chiede, in un certo senso, di come queste variazioni possano originarsi. “È più che probabile che per la variabilità delle piante coltivate esista un fattore che finora ha ricevuto poca attenzione”. Nelle piante coltivate una accanto all’altra si possono formare ibridi, ma la stabilità dei caratteri è la ergola, infatti, “in mezzo alle varie piante nella enorme schiera di forme variabili ce ne sono sempre alcune che rimangono costanti in questo o quel carattere qualora si tenga accuratamente lontana ogni influenza estranea”.
Quindi la regola è la stabilità (la necessità) basata su elementi discreti, non il blending. Qui forse risiede la differenza più grande di prospettiva tra Mendel e tutti quelli che si erano occupati di “transmutazione”. Molti cercavano il movente, la spinta interiore alla variabilità, la “force vitale”. Il vitalismo era morto, ma non definitivamente, solo nel 1828, con la sintesi dell’urea da parte di Friedrich Wöhler, che tra l’altro se ne era pure dispiaciuto. E a dimostrazione della molta vaghezza delle idee in biologia basta ricordare che il concetto di generazione spontanea era stato definitivamente sepolto da Pasteur solo un anno prima, nel 1864. Le leggi che Mendel introduce parlano invece di una stabilità che si estrinseca in precisi calcoli matematici; cosa completamente nuova per la biologia, almeno in questo ambito.
Seguendo l’uso della Società per lo Studio della Scienze Naturali di Brno, quanto presentato da Mendel viene pubblicato negli atti della Società, nel 1866. Titolo Versuche über Pflanzen-Hybriden (Esperimenti sulla ibridazione delle piante). Titolo non molto felice, non proprio attrattivo, visto che di pubblicazioni similari ce ne erano state non poche. E sempre secondo gli usi, 133 copie vengono spedite a istituzioni accademiche. Mendel era conscio dell’importanza delle sue scoperte e l’ordine di un numero insolitamente elevato di reprint, 40, attesta il suo giusto desiderio di disseminare le sue scoperte. Questi reprint vengono spediti a eminenti personalità nel campo delle scienze naturali, della botanica in particolare.
I libri erano e sono stampati su fogli grandi, in genere in sedicesimi, poi piegati a formare pagine ordinate, e infine rilegati. Non sempre però i bordi dei fogli erano tagliati per separare le pagine, e non lo erano, sappiamo, i reprint di Mendel, per cui reprint non tagliato = reprint sicuramente non letto. Di molti reprint non sappiamo di come siano arrivati laddove sono stati poi ritrovati. Di destinatari certi ne conosciamo 12, e la storia di alcuni di questi è importante.
Un reprint, duole dirlo, arriva a Darwin. Il tedesco era una lingua molto usata allora nel campo scientifico, soprattutto per le scienze naturali, e, al dire di Francis, figlio di Darwin (come riportato in questa pagina del sito The Friends of Charles Darwin), Darwin non avrebbe avuto troppa difficoltà a leggerlo. Comunque, il reprint è stato trovato intonso. Uno dei tanti, avrà pensato Darwin (e per di più di uno sconosciuto). È anche difficile prevedere se ne avrebbe afferrato il significato. Uno dei tanti… come Naudin, che aveva fatto esperimenti simili (vedi sopra), e che Darwin aveva liquidato dicendo “He cannot, I think, have reflected much on the subject“. Anche Darwin aveva fatto esperimenti di ibridazione, probabilmente in quel periodo. Ne parla una sua pubblicazione del 1868. Aveva incrociato delle bocche di leone, fiore rosso x fiore bianco, notando una “prepotency” del rosso (vedi sopra).
Anche la storia di altri due reprint è degna di nota. Uno lo troviamo girato, non si sa da chi, a Martinus Beijerinck, olandese, che sicuramente lo lesse. Beijerinck essendo a conoscenza che il suo giovane collega olandese De Vries lavorava sulle ibridazioni di Oenothera lamarckiana (enotera) e Zea mays (mais) gli spedì il reprint, scritto, dice Beijerinck, da un certo Mendel nel 1866, e che avrebbe potuto essergli utile. Per capire bene l’influenza di Mendel su De Vries bisognerebbe sapere quando esattamente il reprint gli fu spedito. Non si sa. Nel prosieguo, questa storia viene affrontata più in dettaglio.
L’altro reprint lo troviamo sul tavolo di Karl von Nägeli, Università di Monaco, con una lettera di accompagno in cui Mendel mostra tutta la sua reverenza (eccessiva!) verso il rinomato luminare, a cui chiede consigli. Da premettere che la pianta prediletta da Nägeli, e non solo da Nägeli, era lo Hieracium, (la pilosella è una delle specie di Hieracium), probabilmente perché ha una varietà di forme incredibilmente alta.
Parafrasando Manzoni, ahimè lo sventurato rispose! Il 27 febbraio 1867 arriva a Mendel la risposta di Nägeli, l’unico a rispondergli. Ma non è molto incoraggiante, anzi. Nägeli è scettico sull’assunto di Mendel che le forme “A” e “a” siano stabili: “Mi aspetto che prima o poi varino ancora una volta”. Da questo e da altri commenti si può ragionevolmente capire che il luminare non aveva capito nulla, condizionato, probabilmente, dal fatto che egli aveva posizioni opposte a quanto Mendel asseriva. Nägeli era per la mescolanza (blending) dei caratteri dei genitori, che era poi l’opinione comune di allora, di Darwin in primis. Dare ragione a Mendel avrebbe significato riconoscere che lui invece lui aveva sbagliato tutto.
Che delusione per Mendel! E nella sua risposta del 18 aprile 1867 gli rispiega per benino i suoi esperimenti e le sue conclusioni. Centrale questo passaggio. “… in ogni generazione appaiono i due tratti parentali, separati e immutati, e nulla indica che uno di loro abbia ereditato o preso qualcosa dall’altro”. Nägeli aveva anche obiettato sulla correttezza delle sue deduzioni. Al che Mendel ribatte che “… ho dimostrato con precedenti esperimenti che il passaggio di una coppia di tratti differenti procede indipendentemente”.
Nägeli non risponde a questa seconda lettera. Va detto che in questo periodo Nägeli non è proprio in salute. Mendel allora invia una terza lettera il 6 novembre 1867, sempre con atteggiamento da scolaretto, evitando di parlare dei piselli (a Nägeli evidentemente non piacevano) e parlando invece di quello che piaceva a Nägeli, cioè dello (sventurato!) Hieracium, raccontando anche che aspettava con impazienza di vedere i risultati delle ibridazioni che aveva fatto proprio su questa pianta. Ancora silenzio da Nägeli. Mendel non desiste e invia una quarta lettera il 9 febbraio 1868, con cambio di tattica. Blandisce Nägeli chiedendogli di spedirgli 12 campioni di specie diverse di Hieracium. Lui penserà alle ibridazioni. Mendel era notoriamente molto esperto in queste cose, e i fiori di Hieracium erano tutt’altro che semplici da gestire. A questa offerta allettante Nägeli finalmente risponde, brevissimamente, promettendo fiori e semi.
Il 4 maggio 1868 Mendel risponde ancora, ma la sua vita, nel frattempo, aveva avuto una svolta radicale. Il 30 marzo 1868 era stato eletto abate del monastero di S. Tommaso come successore di Napp, morto l’anno prima. Riceverà piante e semi da Nägeli ma ci lavorerà a tempo perso. E la speranza che gli fossero riconosciute le sue straordinarie scoperte si affievolisce fino a scomparire. La elezione ad abate, molto apprezzata anche se dissimulata, lo ricompensò in parte di queste delusioni. Come abate entra nella “nomenclatura” di Brno, con incontri e ricevimenti abbastanza regolari nel convento stesso.
Nägeli, dunque, gli aveva mandato il materiale richiesto e Mendel, se pur con ritmi molto molto più blandi, si mette all’opera, e nel 1869 relaziona molto brevemente i suoi risultati alla Società di Scienze Naturali di Brno, pubblicati poi come atti nel 1870. Dice Mendel nella introduzione: “…vorrei ora riassumerne brevemente i risultati, quantunque ancora molto limitati”. E un po’ mestamente aggiunge che “la realizzazione degli esperimenti previsti richiederà ancora diversi anni, e non so se mi sarà concesso di portarli a termine”.
Torniamo al perché della scelta “sventurata” dello Hieracium. Innanzi tutto la manipolazione era difficilissima per cui bisognava farla con un microscopio. E difficilissimo era evitare l’autoimpollinazione. Una ulteriore difficoltà era rappresentata dal fatto che mentre gli ibridi di alcune varietà mostravano un comportamento grosso modo dominante/recessivo, altri mostravano forme intermedie (che Mendel aveva accuratamente evitato per il Pisum). Ma il motivo principale della sventura nasce essenzialmente dall’ignoranza, inconsapevole, che questo genere di piante va raramente incontro alla riproduzione sessuata. La regola è l’apomissia (partenogenesi negli animali). In effetti Mendel riporta: “Finora, i discendenti dei bastardi prodotti per autofecondazione non sono variati: essi conservano i medesimi caratteri della pianta bastarda da cui derivano”. Da notare che Mendel, dal 1868, usa pressoché esclusivamente il termine “bastardo” invece di “ibrido” (A. Volpone, comunicazione personale). Nelle conclusioni, Mendel non può non rimarcare la differenza tra Pisum e Hieracium ( “incontriamo una differenza alquanto significativa”). A questo punto c’è la frase “Nondimeno, durante la discussione sugli esperimenti condotti in Pisum, è già stato sottolineato che esistono anche bastardi la cui prole non varia, come ad esempio i bastardi di Salix, secondo Wichura, i quali si riproducono immutati come le specie pure. Hieracium potrebbe quindi rappresentare un caso analogo”. Quindi, a mio parere, il lavoro sullo Hieracium non è da considerarsi proprio un seppuku per Mendel. È forse la constatazione che le cose sono più complesse di quanto immaginato.
Come detto, Mendel aveva letto con molta attenzione The origin of Species, ma non abbiamo commenti oltre le sottolineature e i punti esclamativi. Un passo della relazione sullo Hieracium ci offre però uno squarcio di luce che, secondo me, è forse più importante di tutti i risultati negativi dello Hieracium. Dice Mendel: “La questione dell’origine delle numerose forme intermedie costanti [constanten Zwischenformen] ha suscitato notevole interesse di recente perché un famoso esperto di Hieracium, nello spirito [im Geiste] della dottrina di Darwin, ha sostenuto che esse possano derivare dalla trasmutazione [Transmutation] di specie estinte o ancora esistenti” (ricordo, transmutazione = evoluzione). All’affermazione non segue alcun commento, da parte di Mendel, ma è sicuramente significativo che egli segnali, se non accolga, anche l’idea di una possibile spiegazione evoluzionistica di una questione ampiamente dibattuta dagli ibridisti di fine ‘700 e metà ‘800.
Tornando alla corrispondenza con Nägeli, dopo la relazione del 1869 ci sono altre lettere ma senza più molta importanza. E sembra che dei suoi esperimenti non ne parlasse proprio più.
Mendel comunque continuò a interessarsi di come andava il mondo della biologia. Lesse con attenzione (lo si capisce anche qui dalle sottolineature) la traduzione tedesca della seconda opera maggiore di Darwin, The Variation of Animals and Plants Under Domestication, lavoro per lui ancor più interessante, visto che riguardava in larga parte l’ereditarietà, cioè l’argomento delle sue ricerche. Anche da questo libro egli trasse qualcosa, poiché si persuase che le apparenti irregolarità in Hieracium potessero ascriversi nell’ambito del fenomeno che Darwin aveva definito “Direct Action of the Male Element on the Female”; e Mendel ipotizzava perciò che si trattasse appunto di «azione diretta del polline di una specie [di Hieracium] sulle cellule uovo di un’altra». Forse fu anche in cerca di un riferimento al suo lavoro svolto su Pisum, ricevuto da Darwin un paio d’anni prima della pubblicazione della Variazione. Nulla. Fino al 1881 nessuno aveva sentito parlare di Mendel con la eccezione di Nägeli. Nel 1881 Wilhelm Olbers Focke pubblica un libro sulle ibridazioni, Die Pflanzen-Mischlinge, e cita Mendel 15 volte, ma non in maniera lusinghiera. Dice che “Mendel crede di aver trovato proporzioni numeriche costanti tra i tipi di ibridi” (= si era illuso), aggiungendo anche, e non si capisce il perché, che il lavoro del monaco seguiva la tradizione dei primi ibridatori, cioè che gli ibridi tendono a tornare alla forma genitoriale, preconcetto allora ben radicato (vedi Naudin). In concreto, anche Focke non aveva capito nulla di Mendel. Le opinioni di Focke su Mendel vengono travasate nell’Enciclopedia Britannica.
Ci furono in realtà altri che citarono Mendel mentre questi era vivo, ma tutti senza averne capito granché. E comunque Mendel non ne venne mai a conoscenza.
Mendel continua invece, anche da abate, a essere il meteorologo ufficiale di Brno, e descrive con accuratezza distaccata, con passaggi ironici e di spirito, il tornado che colpì il convento il 13 ottobre 1870, che tra l’altro distrusse buona parte della serra. Mendel era timido e ritroso, ma ironia, spirito e scherzi facevano anche parte del suo carattere, ed era un lettore assiduo della rivista umoristica “Die Fliegende Blätter” (Le Foglie Volanti). Un giorno di inizio primavera, con la neve ancora a coprire il terreno, con Clemens, un suo confratello, fece una passeggiata visitando tra l’altro gli alveari. “Lascia il berretto lì davanti”, gli disse Mendel maliziosamente. Maliziosamente perché Mendel sapeva come sarebbe andata a finire. Al loro ritorno, il berretto era stato tutto imbrattato dalle api.
Del periodo da abate è degna di nota la sua reazione alla imposizione di una pesante tassa annuale sul convento, nel 1874, dovuta alla situazione disastrosa delle casse imperiali. Il timido monaco qui invece appare molto determinato, quasi aggressivo, nel difendere anche legalmente il suo convento. Ma questo, forse, lo fece sentire isolato. Le uniche tre persone di fiducia divennero i tre nipoti, i figli della sorella Theresia, che si trovavano a Brno per il Ginnasio. In Ferdinando, il più giovane, aveva trovato un capace sfidante agli scacchi.
Siamo così al 6 gennaio 1884. Dopo una malattia renale Mendel muore. I necrologi parlarono del suo amore per il giardinaggio, per la meteorologia e per l’apicultura. Nulla dei suoi esperimenti di ibridazione. Gustav von Niessl lo ricordò durante una delle sedute della Società delle Scienze Naturali di Brno, ma anche qui senza riferimenti ai suoi risultati sulle ibridazioni. Von Niessl visse a lungo da vedere la riscoperta di Mendel. Solo allora confessò a Hugo Iltis (insegnante di scienze naturali alla stessa Realschule dove aveva insegnato Mendel, e futuro primo biografo di Mendel), che questi era solito dire ai suoi amici “Il mio tempo verrà”.
Molti suoi quaderni, come detto, furono bruciati in un grande falò.
Mendel riposa nel cimitero di Brno. Il giovane Johann Mendel, da studente, in una composizione poetica che doveva celebrare una personalità, mette in bocca a Gutenberg che la sua ricompensa sarebbe stata
“Quella di vedere, quando emergerò dalla tomba,
Che la mia arte prospera pacificamente
Tra coloro che verranno dopo di me”.
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1900, a 34 anni dalla pubblicazione di Mendel e a 16 dalla sua morte.
Chi ha visto una propria pubblicazione essere bruciata sul tempo da un collega, forse può solo intuire come si sentisse Karl Correns, docente di botanica a Tubinga, quel sabato 21 aprile del 1900 nel leggere la prima versione, quella in francese (cui si è accennato all’inizio) del collega olandese Hugo De Vries, pubblicata il mese prima su Comptes Rendus de l’Academie des Sciences, rivista ufficiale dell’Accademia Francese delle Scienze. Per capire la situazione occorre sapere che Correns era già a conoscenza della pubblicazione di Mendel. L’articolo di De Vries parlava della trasmissione di caratteri negli ibridi di piante, di cui anche lui si stava occupando. Correns conosceva bene De Vries, soprattutto per essere stato da lui bruciato sul filo di lana altre volte, come nella soluzione del problema, molto caldo allora, del fenomeno denominato xenia. Ma Correns aveva altri motivi di irritazione, oltre alla bruciatura sul tempo. De Vries aveva sì capito il carattere discreto degli elementi che venivano trasmessi da una generazione all’altra, ma, secondo Correns, non aveva capito appieno le regole (mendeliane appunto) che sottostavano a questi passaggi. E poi il terzo motivo. Correns aveva il forte sospetto, come vedremo giustificato, che De Vries conoscesse già Mendel, ma che lo avesse intenzionalmente ignorato per poi poter dimostrare che alle sue importanti conclusioni c’era arrivato da solo. Correns decide allora di mettere i puntini sulle i, inviando immediatamente una nota alla Società Tedesca di Botanica.
De Vries
De Vries nel 1889 aveva pubblicato un lavoro che riprendeva l’ipotesi della pangenesi di Darwin. Verso la fine del 1890 inizia un progetto sulle mutazioni o, come le chiamava lui, “mostruosità”, che credeva si verificassero casualmente, per ragioni sconosciute. De Vries considerava queste mostruosità come la forza trainante dell’evoluzione. Aveva casualmente trovato un genere di piante locali particolarmente propenso alle mostruosità, le Oenothera, concentrandosi in particolare sull’Oenothera lamarckiana, ora Oenothera glazioviana. Questo lavoro l’aveva convinto sempre di più della correlazione tra l’insorgere di nuove specie e le mutazioni. Nei suoi piani c’erano una serie di pubblicazioni che sarebbero dovuti culminare con l’uscita, agli inizi del secolo, del primo dei due volumi intitolati Die Mutationstheorie, La Teoria della Mutazione. Nel 1890 aveva fatto esperimenti di ibridi tra Lychnis diurna (pelosa) x L. vespertina glabra (liscia) che, alla F2 (autoimpollinazione degli ibridi) gli avevano dato un rapporto pelosi/rotondi 99:54, rapporto ovviamente interpretato come 2:1.
Nel 1899 De Vries partecipa alla First International Conference on Hybridization and Plant Breeding, a Londra, che si tiene alla Royal Horticultural Society, ove riporta gli incroci di cui sopra, ma il rapporto 99:54 diventa 3:1! Aveva già letto Mendel? Conclude comunque in modo interlocutorio che c’era molto lavoro da fare. Alla conferenza c’era ovviamente Bateson, eminente zoologo inglese e principale sostenitore della variazione discontinua della evoluzione, in contrapposizione alla linea Darwiniana che vedeva l’evoluzione muoversi su una linea “continua” di variazioni, cioè con piccoli impercettibili incrementi su cui agiva la selezione naturale. Le teorie di Bateson si sposavano perfettamente con le mostruosità di De Vries. I due erano entrati in contatto, e De Vries si era fermato a casa di Bateson, a Cambridge, prima di andare tutti e due a Londra per la conferenza.
E alla conferenza Bateson, nel suo intervento dell’11 luglio, aveva bene puntualizzato che per capire i risultati delle ibridazioni in chiave evolutiva era assolutamente necessario che la progenie di tali incroci venisse esaminata “statisticamente”. Parola in corsivo nel testo scritto del suo intervento. Anche per Bateson vale la domanda: aveva già letto Mendel? Altre frasi che insistono sulla necessità di una analisi statistica rinforzano questa supposizione. Dopo di loro un altro oratore, R. A. Rolfe, riassume la storia degli esperimenti di ibridazione, e in questo riassunto appare per la prima volta dalla sua morte il nome di Mendel, riferito però allo Hieracium. Probabilmente nessuno notò questo nome.
Il lavoro di De Vries, dunque, era apparso dapprima in francese sui Comptes Rendus. Il 27 aprile 1900, De Vries tiene un seminario alla Società Tedesca di Botanica e il suo seminario, in tedesco, viene quindi pubblicato sugli Atti della Società. Qui compare una nota aggiuntiva, non molto in risalto, in cui De Vries dà a Mendel il giusto credito. Aggiungendo però che sì, aveva adeguato la sua terminologia a quella di Mendel, ma era venuto a conoscenza del suo lavoro a esperimenti già praticamente ultimati e conclusioni già tirate.
Correns
Correns, dunque, il 22 aprile manda una pepata nota alla Società Tedesca di Botanica, intitolato La legge di G. Mendel sul comportamento della progenie di varietà di ibridi, pubblicato il 27 aprile, quando la versione in tedesco di De Vries, con la nota su Mendel, era stata già pubblicata. Non arrivò a usare la parola plagio, ma il messaggio era quello. Rivendica che anche lui era giunto alle stesse conclusioni, ma che si era reso conto che Mendel lo aveva fatto molti anni prima. Questo per sottolineare una differenza morale con De Vries. E rimarca come i termini “attivo” e “latente” che De Vries aveva sempre usato prima, erano improvvisamente diventati, sui Comptes Rendus, “dominante” e “recessivo”, che solo Mendel aveva usato. E la lista delle incongruenze elencate da Correns continua. Si meraviglia, per esempio, che De Vries non riportasse alcuna eccezione a queste leggi. Eccezioni che Correns aveva trovato (lavorando però su un numero di piante più alto).
Da notare che Correns usa, al posto di Merkmal o Elemente (vedi sopra) la parola “anlage” che (mi dicono 🤷♂️) si avvicina di più al termine gene, nel senso che fa riferimento, in un certo senso, al codice che genera la caratteristica, più che alla caratteristica stessa. E aggiunge che il set completo di questi “anlage” potrebbe essere localizzato nel nucleo. Correns esprime poi per la prima volta la notazione 9:3:3:1 per i diibridi. Dal lavoro di Mendel la si deduce, ma lui non l’aveva mai riportata in questo modo. Introduce anche i termini segregazione e segregazione indipendente come “leggi di Mendel”. E riconosce, onestamente, che i progressi recenti della biologia, sconosciuti a Mendel (vedi meiosi), gli fossero stati di grande aiuto nell’arrivare a queste leggi, riconoscendo così a Mendel una notevolissima statura scientifica.
Correns, dunque, dice che alle leggi di Mendel ci era arrivato per proprio conto. Sarà. Mah. Correns, come detto, conosceva molto bene Nägeli. Possibile che Nägeli, conoscendo sicuramente su cosa lavorasse Correns, non gli abbia parlato di Mendel? E come mai Correns si era concentrato sui piselli?
Von Tschermak
Il terzo a impegnarsi moltissimo ad entrare nel club dei riscopritori di Mendel è Erich von Tschermak, belga, che prima in Belgio e poi a Vienna aveva lavorato su piselli e violacciocche. Era nipote di Eduard Fenzl, uno degli esaminatori che avevano bocciato Mendel al suo secondo tentativo. Il lavoro di von Tschermak è del giugno 1900. I suoi risultati sono preliminari, ma si evince molto chiaramente che non aveva colto i punti essenziali di Mendel, il processo combinatorio dei caratteri in particolare. Si darà sempre molto da fare per accostare il suo nome a quello di Mendel, ma la sua autocandidatura a terzo scopritore di Mendel non viene riconosciuta dai più.
Bateson (che nel 1905 conia il termine “genetica”).
Dunque, nel 1899 Bateson si incontra con De Vries e si entusiasma della teoria delle “mostruosità” che supportava le sue idee sui meccanismi della evoluzione, e si spende a diffondere queste idee in Inghilterra. L’8 maggio 1900 lo troviamo sul treno per raggiungere Londra e dare un seminario alla Royal Horticultural Society.
La leggenda riportata all’inizio parla di un suo discorso miliare per la diffusione del Mendelismo in Inghilterra, preparato all’ultimo momento sul treno. Ma i conti non tornano. Non tornano i tempi per procurarsi la versione in tedesco del lavoro di De Vries pubblicato sugli Atti della Società Tedesca di Botanica, che riportava la nota aggiuntiva su Mendel, e non tornano ancora di più i tempi per procurarsi il lavoro di Mendel (comunque presente nella biblioteca di Cambridge) prima del suo viaggio a Londra dell’8 maggio. I tempi ci sono per il lavoro di De Vries sui Comptes Rendus, ma lì la nota su Mendel non c’è. Infine, negli Atti che riportano il suo intervento, pubblicati su Gardeners’ Chronicle e apparsi il 12 maggio alla Royal Horticultural Society, manca ogni riferimento a Mendel. È verosimile che la folgorazione che lo colpisce sulla via di Londra è una leggenda creata da Bateson stesso, per collocare Mendel nell’Olimpo della scienza, ma anche, forse soprattutto, per metterglisi accanto come suo profeta. E nella traduzione in inglese dell’articolo di Mendel che lui cura nel 1902 compare una prefazione intitolata Mendel’s Principles of Heredity: a Defence. In questa prefazione Bateson spiega come l’evoluzione proceda per cambiamenti “discontinui” e non per passaggi “continui”. E conia il termine “Mendelians” per sé e per i seguaci della nuova teoria, in contrapposizione ai “biometricians”, contro cui tuona in uno dei passi: “Exactness is not always attainable by numerical precision, there have been students of Nature, untrained in statistical nicety, whose instinct for truth yet saved them from perverse inference, from slovenly argument, and from misuse of authorities, reiterated and grotesque”.
Buffo a dirsi, l’ammirazione (pelosa) di Bateson per Mendel lo aveva portato a diventare, come Mendel, un giocatore di scacchi, un fumatore di sigari, e un lettore della rivista umoristica Die Fliegende Blätter (Le foglie volanti) che, come detto, piaceva molto a Mendel. De Vries invece si allontana sempre più dal mendelismo. Nel suo libro Pflanzenzuchtung (Plant Breeding) Mendel non è citato, e, nel 1908 si rifiuta di firmare la petizione, con von Tschermak primo firmatario, per erigere un monumento a Mendel in Brno (vedi sotto). Probabilmente, e un po’ a ragione, De Vries voleva essere ricordato per i meriti suoi, non solo per aver riscoperto Mendel.
Bateson sarà il mastino di Mendel come Thomas Huxley lo era stato per Darwin. Famoso il dibattito del 19 agosto 1904 a Cambridge tra Mendelians e biometricians, tra lui e il condottiero dei biometricians, Frank Raphael Weldon, un tempo suo amico, ma con cui ora c’era una lotta senza esclusione di colpi, come testimoniano le lettere e controlettere molto dure, con accuse reciproche, apparse su Nature. Il dibattito comincia con un colpo basso: il biometrician Arthur Dukinfield Darbishire, allievo di Weldon, cambia schieramento (senza molta spontaneità, sembra. Bateson si era accorto di errori, forse falsificazioni, di un suo lavoro contro il mendelismo…). Nel suo turno Weldon accusa veementemente la teoria di Mendel come “cumbrous and undemonstrable” ed elenca le eccezioni che confuterebbero il Mendelismo. Bateson parla nel pomeriggio, con altrettanta veemenza. Karl Pearson, il famoso biostatistico, considerato un biometrician, propone una tregua di tre anni, ma il chairman, il reverendo T. R. Stebbing, prima esita, ma poi conclude di lascarli battagliare. Bateson conclude il suo discorso con l’affondo che argomenti basati sulle eccezioni rivelano solo la scarsità delle proprie prove. Per inciso, al dibattito era presente Reginald Crundall Punnett, collaboratore di Bateson, che era stato il primo a usare una matrice quadrata, detta appunto il quadrato di Punnett, per visualizzare meglio gli incroci. Dalle sue partite a cricket con il famoso matematico Godfrey H. Hardy nascerà un equilibrio…
A concludere la battaglia tra Mendelians e biometricians arriva, nel 1905, la carica di cavalleria del colonnello, di cavalleria appunto, Charles Chamberlain Hurst. Hurst sottopone alla Royal Society un lavoro in cui descrive che, nei cavalli, i colori baio, marrone e sauro mostrano una segregazione mendeliana semplice, con baio e marrone dominanti e sauro recessivo (primo riscontro delle leggi di Mendel negli animali!). Questi risultati Hurst li aveva ottenuti spulciando con molta pazienza i venti volumi dei pedigree dei cavalli da corsa registrati nel General Stud Book of Race Horses di Weatherby. Weldon, come chairman del Zoological Committee, fu uno dei primi ad aver accesso al lavoro, e si mette subito a spulciare i venti suddetti volumi alla ricerca di inconsistenze. E le trova. In alcuni casi erano riportati cavalli marroni (dominante) figli di genitori dal colore sauro (recessivo). Weldon, sulla base delle inconsistenze trovate, boccia il lavoro. Ma dopo alcune settimane Hurst risottomette il suo lavoro, lavoro caldeggiato questa volta da Bateson, che in un primo momento (invidia?) si era mostrato tiepido. Hurst spiega le eccezioni come errori materiali di trascrizione o di valutazione del colore, cosa non semplice nei puledri. Il colonnello era andato a cercare con che colore erano stati registrati i cavalli “inconsistenti” nelle cronache di altre corse, e le inconsistenze scompaiono. Weldon non la prende bene e si mette a spulciare di nuovo i 20 volumi portandoseli addirittura in un viaggio in Italia, ma concentrandosi molto di più su questo che sulle attrattive dell’Italia. Tornato, fa visita a varie scuderie nei dintorni di Oxford sperando di trovare materiale per controbattere i dati di Hurst. I primi di aprile del 1906 ne visita una con Pearson e discute con lui il progetto di un libro sul colore dei cavalli. L’8 aprile va a portare a sviluppare alcune foto di cavalli che aveva ispezionato, ma si sente molto affaticato. Qualche giorno dopo è in ospedale e il 13 aprile, a soli 46 anni, muore. Max Plank diceva che una teoria scientifica si afferma definitivamente solo quando muoiono i suoi oppositori.
Tschermak, l’autoproclamatosi riscopritore di Mendel, era stato il primo e più attivo membro del comitato costituito per raccogliere fondi per l’erezione di una statua a Mendel a Brno. Del resto, non avendo molti meriti scientifici suoi, era quello che aveva più da guadagnare mettendosi in bella mostra. La statua viene inaugurata domenica 2 ottobre 1910, nella rinominata Mendelplatz (ora Mendlovo Náměstí), ed è Hugo Iltis a introdurre Correns per il breve discorso di inaugurazione, in tedesco, presenti i più illustri scienziati del momento. Ovvie le sue parole di dispiacere che Mendel in vita non potesse aver avuto il riconoscimento che avrebbe meritato. Da notare che la scritta ai piedi del monumento è in tedesco. Siamo sempre nell’impero Austro-Ungarico che continua a non apprezzare le minoranze linguistiche. Da notare anche l’assenza sul podio dell’abate del monastero, allora Franciscus Salesius Bařina, che l’abate Mendel aveva accettato nel suo convento; e, infine, che i documenti radunati per l’occasione a formare un piccolo museo, non erano esposti nel convento, ma sistemati alla German House.
Assente alla cerimonia Hugo De Vries, che del resto non aveva voluto sottoscrivere la raccolta fondi per la statua. Giustamente, come detto, si considerava qualcosa di più che un riscopritore di Mendel. In effetti si era concentrato per raccordare le teorie evoluzionistiche di Darwin con le sue mostruosità. E nemmeno parteciperà, nel 1922, alle celebrazioni del primo centenario della nascita di Mendel. Assente anche Correns, che sottoscrisse la petizione di raccolta fondi, ma non fu molto attivo.
Dunque, la statua di Mendel è ora al centro della Mendelplatz, ma la sua storia merita di essere ulteriormente raccontata perché ricalca i percorsi della genetica nei meandri delle ideologie & della politica del XX secolo. Una notte del 1950 (cortina di ferro ben in piedi) l’esercito cecoslovacco, segretamente, rimuove la statua e la porta, senza il suo piedistallo, sul retro del cortile del convento adibito nel frattempo a uffici governativi. Per la ideologia comunista la genetica era un’eresia borghese da combattere. Con l’avvento di Trofim Lysenko e delle sue teorie simil-lamarckiane la battaglia diventa fisica, con licenziamenti, deportazioni in Siberia e anche fucilazioni. Per le drosofile invece si ricorse alla bollitura. Nel 1964 un gruppo di genetisti ottiene che la statua fosse portata nel cortile principale dell’ex-convento di San Tommaso.
Una considerazione finale sulla vita di Mendel. Ogni grande scienziato, dice Newton, vede oltre perché è sulle spalle dei giganti che lo hanno preceduto. Anche Mendel aveva preso da altri, da Gärtner e Kölreuter, per esempio. Ma Mendel usa strumenti mai usati prima nel campo della botanica e della biologia in generale: la matematica e la statistica. Mendel è uno scienziato del XX secolo intrappolato nel XIX.
Si è accennato alla possibilità per Mendel e Darwin di incontrarsi in occasione della mostra internazionale di Londra del 1862. Si sarebbero capiti? Sicuramente no, allora. E più tardi? Il passo su riportato dalla pubblicazione sullo Hieracium mi mette ora qualche dubbio. Ma forse ci sarebbe voluta una buona iniezione di pazienza perché Darwin ascoltasse fino in fondo il racconto di quello sconosciuto monaco moravo.
A noi ora risulta comunque chiaro che ognuno dei due aveva una metà della mappa del tesoro. Ma la comprensione della loro perfetta complementarietà avrà bisogno di vari decenni di riflessioni. Finalmente, tra il 1918 e il 1937, grazie a scienziati del calibro di Roland Fisher, John Haldane, Theodosius Dobzhansky e altri, si arriva alla “nuova sintesi”, al neo-darwinismo. La biologia prende la strada su cui ora camminiamo.